na leggenda ricorrente sulla presidenza Kennedy è quella secondo cui sarebbe respon-sabile dell’improvvisa scomparsa del cappello dal guardaroba degli americani e, di conseguenza, degli occidentali in genere. È stato spesso ricordato come la sua prima apparizione da presidente—in cui non indossava il cappello—abbia causato un rifiuto di massa verso l’uso di questo accessorio, infliggendo un colpo quasi mortale all’industria del copricapo. Prima di questo episodio, tutti indossavano un cappello di qualche tipo quando erano in pubblico o all’aperto; proprio come per i pantaloni o le scarpe, indossare un cappello era considerata una vera e propria necessità. Certo, quando Kennedy si faceva vedere in occasioni più frivole, come alle partite di golf o in barca, anche lui sfoggiava lo chapeau più appropriato, ma durante le apparizioni ufficiali il suo capo era visibilmente esposto, al contrario dei suoi predecessori, come Truman (con il suo fedora personalizzato), e dei suoi rivali, come Khrushchev (che indossava un cappello a lobbia), Castro (berretto verde), o Mao Tse-tung (cappello piatto con stella rossa). Alcuni considerarono questa tendenza anti-cappello di Kennedy una mera questione di vanità, un modo per far notare la sua chioma giovanile, e per risaltare sui suoi avversari, spesso senza capelli. Ma in realtà, c’era qualcosa di molto più profondo dietro questa scelta: era un modo per dichiarare che nel Primo Mondo la corsa all’industrializzazione era finita. I cappelli differenziati del mondo occidentale costituivano una sorta di rappresentazione della società industriale.
Cappelli di vario tipo servivano ad individuare una forza lavoro meccanizzata di esperti altamente specializzati, ognuno con il proprio ruolo, ognuno ingranaggio microscopico della grande macchina industriale. Le altre potenze del mondo, con la propria ostentazione dei costumi occidentali, provavano a scimmiottare questi codici d’abbigliamento per dimostrare il proprio coinvolgimento in quell’inesorabile processo di sviluppo che era l’industrializzazione. Proprio quando la Russia sovietica e la Cina maoista—grazie agli sforzi straordinari, quasi eroici, delle proprie disgraziate classi proletarie, e attraverso piani quinquennali di sviluppo tanto ambiziosi quanto brutali—sembravano aver accorciato le distanze tra le proprie capacità industriali e quelle dei Paesi capitalisti, Kennedy dichiarò all’improvviso che la gara era finita, e che l’Occidente aveva vinto. Gli USA entravano ora nel loro stadio “post-industriale”, e una nuova competizione era cominciata: la competizione del consumismo, sommariamente riassunta nella celebre frase da poster da dormitorio, “Colui che morirà con più beni sarà vincitore”. Questa dichiarazione deve aver scioccato i teorici del comunismo: le teorie di Marx non avevano previsto sviluppi del genere nell’inesorabile traiettoria dei sistemi economici. Secondo lui, infatti, la fase successiva al capitalismo avrebbe dovuto essere il comunismo—e non un’aberrante società consumistica post-industriale, basata sullo sfruttamento dei lavoratori del Terzo Mondo. Nonostante ciò, i cappelli erano stati tolti, e nessuno se li è ancora rimessi (con l’eccezione dei cappelli da baseball e dei trucker, che, a partire degli anni Ottanta, hanno riacquistato grande popolarità. Il cappello da baseball è usato trasversalmente da diversi gruppi sociali, in maniera piuttosto banale, rifacendosi in primo luogo all’era dello stickball e delle grandi guerre. Al contrario dei cappelli dell’era industriale, il cappello da baseball ha la funzione di cancellare o nascondere lo status di sociale di chi lo porta, piuttosto che renderlo evidente. Il trucker invece è considerato leggermente più mascolino, ma allo stesso tempo ironico, ed è spesso indossato da soggetti che pensano a se stessi come a dei ribelli, benché non abbiano nessuna ideologia particolare o intenzione di ribellarsi a qualcosa). La Rivoluzione Industriale, cominciata in Europa nel XVIII secolo, ha portato alla meccanizzazione del lavoro e, soprattutto, della vita di ogni giorno. Le origini del fenomeno sono in primo luogo da ricercare nella Riforma (con la Rivoluzione Protestante e la nascita della borghesia) e nella scoperta del Nuovo Mondo, che ha portato l’Europa a colonizzare e schiavizzare il resto del pianeta, grazie agli armamenti e all’organizzazione più avanzati. Questa meccanizzazione del lavoro richiedeva una forza lavoro qualificata. Di conseguenza, la gran parte della popolazione, contadini e commercianti, venne rieducata dall’élite dominante per poter lavorare con le nuove macchine. Durante questa nuova era industriale vennero introdotti molti nuovi tipi di cappelli. Come nell’esercito esistono vari tipi di divise e uniformi—copricapi in particolare—per separare, organizzare, stratificare e identificare le diverse unità, così la società industriale trovava un modo simile per organizzarsi. A ogni professione corrispondeva un determinato cappello, per identificare appunto il ruolo di chi lo indossava. Lo chef metteva un cappello da cuoco. Il conduttore dell’autobus indossava quello da conduttore. Il banchiere una bombetta. Qualsiasi fosse il tuo lavoro, impiegato in fabbrica, pastore o fabbro, c’era una tipologia di cappello che indicava con precisione qual era il tuo ruolo e il tuo stipendio. Ogni persona aveva una specifica uniforme, che indossava anche con un certo orgoglio. Ognuno era un esperto nel proprio campo. Allevatori o panettieri, operai o commesse, il loro cappello ci diceva chi erano, cosa sapevano fare e qual era il loro ruolo all’interno dei microcosmi confusamente integrati che costituiscono la società. La sommaria liquidazione del cappello era parte integrante di un nuovo stile di vita informale, il cui slogan sembrava essere: “Io non sono il mio lavoro”. E non solo. Tutto a un tratto, nella nuova società post-industriale, chiunque poteva fare qualsiasi cosa. Non c’erano più classi sociali (in teoria), e nemmeno specialisti (a parte alcune eccezioni, come i medici o i meccanici, le cui professioni sono diventate iper-specializzate). La gente era finalmente libera di seguire i propri sogni di potere e quindi anche dovere,“indossare tanti cappelli diversi”. Ora potevi suonare in una band, fare il rapper, il video artist—o essere quel tipo di artista a cui capitava, quasi per sbaglio, di fare un lavoro normale. Non c’era più niente di strano in tutto ciò. La maggior parte dei nuovi lavori hanno dei nomi nebulosi, come “assistente manager per le risorse umane”, dei soprannomi polivalenti che escludono e prevedono allo stesso tempo determinate conoscenze e responsabilità. L’industria nella quale è più evidente il distacco dai ruoli tradizionali è quella musicale. L’orchestra era una rappresentazione perfetta della vecchia stratificazione dei ruoli, poiché era composta da varie figure altamente qualificate solo nel proprio ruolo. Altri esperti specializzati componevano la musica, e ancora altri specialisti la arrangiavano. I gruppi rock’n’roll invece apparivano decisamente più semplificati, con del personale specializzato e un manager fisso, ma allo stesso tempo una notevole libertà d’azione all’interno dei vari ruoli. Ci potevano essere più cantanti in un gruppo (vedi i Beatles), e spesso le canzoni erano scritte da più persone all’interno della band. Al giorno d’oggi, nell’era delle “one-man band”, un singolo individuo è spesso responsabile di ogni aspetto del business, inclusi il booking, le illustrazioni, il marketing, le registrazioni, e la guida del furgone—per non parlare ovviamente dello scrivere, comporre e arrangiare le canzoni. I cosiddetti “cappelli da lavoro” di cui si parlava in precedenza (ma anche i cappelli eleganti, come il fedora o la paglietta) sono visti oggi come ridicoli e inevitabilmente antiquati, in una società in cui regna la pretesa che “chiunque può fare qualsiasi cosa”. Ma questa nuova libertà della società post-industriale, che ci ha permesso di non essere definiti dal lavoro che facciamo, non avrà anche dei lati sinistri? Forse proprio questa cultura del non-cappello ha portato alla distruzione dei movimenti operai. Forse è la mancanza di competenze lavorative della cultura odierna che ha permesso alle corporation di fast-food e alle multinazionali di impossessarsi di ogni cosa. Nessuno sa più come svolgere mansioni particolari. La maggior parte dei lavori è stata trasferita in Paesi con forza lavoro a buon mercato. Se la gente non fosse stata incoraggiata a levarsi il proprio cappello, e a rinunciare alla propria identità di lavoratori specializzati, tutto questo sarebbe successo? Probabilmente, i sindacati non sarebbero diventati irrilevanti, come invece è successo, a causa dell’incessante azione di lobbying perpetrata dalle classi più ricche. Ora, in questi ultimi anni, sta emergendo un nuovo stile. L’uomo di oggi ricomincia a indossare il fedora, la coppola o perfino la lobbia—accessori che fino a pochi anni fa erano addirittura disprezzati. Ma questo ritorno in auge non è dovuto a un lampo di genio dell’uomo comune. Lui sta solo facendo ciò che è stato stabilito nell’Olimpo dell’élite dominante. Abbiamo dunque a che fare con una specie di nostalgia istituzionalizzata per l’era dei lavoratori organizzati, e per la perdita di conoscenze e abilità lavorative? Oppure vuol dire che, alla luce delle minacce economiche di Cina e India, dopo esserci resi conto che la ricchezza basata sulla speculazione immobiliare era un’illusione, l’esperimento post-industriale è giunto al termine? È meglio che insegnate ai vostri figli l’arte dello spazzacamino…
By Ian F. Svenonius

![TopHatAround1905[1]](http://5election.com/wp-content/uploads//2010/05/tophataround19051.jpg)
![rtemagicc_bollman-140-years-commemorative-hats-front[1]](http://5election.com/wp-content/uploads//2010/05/rtemagicc_bollman-140-years-commemorative-hats-front1.jpg)