ndrea Garuti è un giovane fotografo nato a Firenze nel 1965 (beh, è mio coetaneo, quindi è giovane) che vive e lavora a Milano. Ho incontrato accidentalmente la sua opera attraverso un breve articolo che riportava la notizia della pubblicazione del suo primo libro, Views, per la Damiani editore; a corredo del testo, una piccola riproduzione di una delle sue foto, la miniatura credo di un panorama moscovita. Mi ha colpito, in quell’immagine, la straordinaria capacità di interpretare lo spazio, di coglierne il dinamismo, il divenire, qualcosa che la distingueva dalla volontà di rappresentare, sia pur compiutamente, una realtà definita, per cogliere piuttosto il fenomeno stesso della percezione. Non sono persona dalle facili passioni, dagli impulsi irrefrenabili; pure, nonostante il minuscolo formato, quell’immagine mi ha immediatamente catturato, tanto a spingermi, in modo del tutto inusuale per me, ad acquistare il libro.

Nella galleria di immagini che esso contiene, molto diverse per soggetto e atmosfera, ma tutte caratterizzate dalla costante di un’ambientazione urbana (Barcellona, La Havana, Tokyo, Mosca, Hong Kong, Shanghai, New York, Dallas), si sviluppa una ricerca sulla rappresentazione del moderno spazio antropomorfizzato, privo di centralità e di una classica gerarchia spaziale, percepibile solo attraverso la ricomposizione, soggettiva e mutevole, di frammenti giustapposti.

In queste 50 opere opere l’obiettivo ricostruisce il percorso dello sguardo, il suo soffermarsi e focalizzare su oggetti ed episodi senza una logica preordinata, cui solo l’osservatore, in questo caso il fotografo, sa ridare un senso e una coerenza. Garruti reinterpreta così, a modo suo, la complessa questione della rappresentazione dello spazio, denunciando in tal modo la sua formazione accademica (è laureato in architettura): lo spazio non come immagine da percepire univocamente, ma come esperienza, luogo da attraversare, da esplorare in una molteplicità di percorsi e visioni distinte; lo spazio non come qualcosa che esiste a priori, ma che viene ricreato dallo sguardo che lo osserva.


La mancanza stessa di un limite definito, di una cornice precisa dell’immagine, generata piuttostodal giustapporsi di scatti diversi, rimanda all’idea di uno spazio non concluso, bensì fluido, che esiste là dove viene percepito. Concorrono, nella ricostruzione di questa realtà visiva, le influenze delle avanguardie artistiche del ‘900 nei loro continui rimandi ai miti del modernismo (dinamismo, sinestetismo) e alla nascita del relativismo percettivo, così come la capacità artigianale dello scomporre e ricostruire fisicamente l’immagine (tutto il procedimento è realizzato sul supporto fisico, senza interventi di fotoritocco digitale), in un intreccio di elaborazione concettuale e materica che Garuti ha proseguito nelle sue ricerce successive, sperimentando tecniche e approcci visivi differenti, esplorando territori contigui come il ritratto e la natura morta, o declinando la sua fotografia verso i territori della grafica.












Parallelamente a queste sue esplorazioni personali, Garruti ha collaborato negli anni, come fotografo commerciale e di moda, con numerose riviste (Elle, Glamour, Cosmopolitan, Marie Claire, Elle Decor, ecc.) e per campagne pubblicitarie (Etro, Fay, Libero telefonia, Wind telefonia, ecc); in questa produzione, caratterizzata da modi e forme più legati ad esigenze commerciali, emerge però una raffinata attenzione per gli aspetti più classici della composizione (luce, forma, colore) che fanno comprendere come la sua sperimentazione artistica abbia solide base nella tecnica della fotografia e nella tradizione iconografica occidentale. (arch. Ugo Tranquillini)





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