CARTA O WEB ?

e edizioni cartacee dei maggiori quotidiani mondiali spariranno? Il Fitch rating service , deputato al controllo dello stato di salute delle imprese del mondo della carta stampata, ha previsto la progressiva scomparsa dei giornali. Nel 2010 altri giornali e gruppi editoriali falliranno, saranno costretti a chiudere o saranno liquidati. Entro la fine del 2010 molte città potrebbero restare senza un quotidiano locale. Quali saranno le possibili conseguenze? Si ridimensionerà il ruolo della carta stampata a difensore della democrazia? Diamo qualche numero: a ottobre del 2008 il bilancio della New York Times Company prevedeva che se nei successivi tre mesi non si fossero presi provvedimenti drastici, il giornale non sarebbe stato in grado di pagare i quasi 400 milioni di debiti. A ottobre, infatti, la compagnia era già sotto  di un miliardo di dollari e non c’era modo di ottenere capitali per rimpinguare le casse che facevano registrare soltanto 46 milioni di dollari. Insomma è vero quanto scrive l’esperto di comunicazione David Carr proprio sulle colonne del NY Times: la crisi dei giornali minaccia non solo gli editori ma l’informazione stessa. E’ crisi ovviamente anche qui: metti il clima economico peggiore degli ultimi 50 anni , aggiungi la riduzione delle entrate pubblicitarie nonché il calo delle vendite e le conclusioni vengono da sole. E la soluzione? Il gruppo Times acquistato da Google o da Microsoft ? Forse l’idea è peregrina. La sorte non bacia neppure il Washington Post né il Wall Street Journal.  A questo punto si alzano gli internauti a suggerire che saranno i cittadini reporter a colmare il gap. Vedete voi online sostituti all’altezza, e cioè che abbiano l’eseprienza dei giornali nello scovare e raccontare le notizie all over the world?La rete non è paragonabile alla carta stampata ma è lapalissiano ammettere che Internet ha allargato il pubblico del quotidiano: molti lettori sono abituati a consultare il giornale online. La questione, niente  affatto marginale, è che il milione di lettori paganti per il NY Times in edizione stampata, tradotti per gli inserzionisti in cifre a quattro zeri, rendono molto di più dei 20 milioni di utenti del sito che non pagano un solo centesimo. E’ il caso del NY Times che continua ad aumentare il numero di contatti conquistando le prime posizioni tra i siti d’informazione per numero di visitatori: 200mila visitatori unici in poche settimane (Bill Keller direttore esecutivo NY Times).Dunque carta stampata vs Web? Forse si va perdendo qual giornalismo che contribuisce a renderci cittadini consapevoli? A parlare è il direttore esecutivo del NY Times, Bill Keller che ammette il paradosso: le pagine più importanti stanno per sparire, quelle necessarie ad alimentare il dibattito politico, a fronte della enorme capacità di sopravvivenza di quelle sullo sport, sulla moda e sulle celebrità . Queste, infatti, sono il solo posto ideale per la pubblicità. Ancora una volta lei! Il convitato di pietra: l’Anima, la Pubblicità!  Si offrono soluzioni potenziali: Intervento dello Stato? In fondo si tratta di provvedere alla tutela della salute della nostra democrazia! Non so però sino a che punto l’intervento dello stato sia ben accolto dai paladini della carta stampata che, a dispetto di quanto di fatto dimostrano, si dichiarano super partes. E in tutta sincerità mi preoccuperei per la slaute della democrazia nel caso in cui un governo possa agire indisturbato senza che nessuno lo racconti in modo chiaro e intelligente.Finanziamenti da fondazioni e da associazioni benefiche? Va da sè che il benefattore dovrebbe essere mosso da animo filantropico , non già dall’ansia da status o dal desiderio mai sopito di immortalità “Noi moriamo soltanto quando non riusciamo a mettere radice in altri” (Lev Tolstoj). 
Oppure .. il giornale interamente sul web! Non pensi sia possibile? E allora dai uno sguardo/click all’Huffington Post . Si, d’accordo. L’Huffington Post è un sito di informazione arcinoto negli USA e conta sulle collaborazioni gratuite ma produce poche  “notizie”. Il sito ha sfruttato un mix esplosivo per il suo successo : aggregazione di contenuti, collaboratori in aumento e offerta di notiziole comunque originali. Il tutto servito sul piatto d’argento dei costi bassissimi vista la scelta dei contenuti che si orientano verso il pubblico e ciò che questo ritiene più interessante e da cui è maggiormente attratto. Manca però un gruppo dirigente in grado di gestire le priorità, di generare  approfondimenti e di offrire scoop. E se pure si potesse contare su contributi di qualità, eliminare del tutto l’edizione cartacea di un giornale per lasciare solo quella on line, non ridurrebbe i costi del lavoro di redazione e non sarebbero equiparati agli stipendi di giornalisti  e di direttori. Senza contare poi il budget relativo ai viaggi, ai computer, agli spazi pubblicitari et similia. Qual è il messaggio che rimbalza in rete? “Society doesn’t need newspapers. What we need is journalism”. Insomma bisogna prendere atto che la situazione non è per nulla da sottovalutare: l’unica certezza è un paradosso! Si, perché questa crisi mette in rilievo che mai come in questo tempo i giornali hanno avuto tanti lettori e che gli utenti delle notizie on line sono in netta crescita rispetto a quelli della carta stampata , la tendenza è netta negli USA. D’altronde perché continuare a pagare un’abbonamento al NY Times se è possibile leggerlo gratuitamente sul web? Alternativa degna di nota è quella di un sistema di micropagamenti per consultare i siti d’informazione. Sarebbe sufficiente a coprire le spese di redazione? Il modello interamente sul web non è un modello sensato dal punto di vista commerciale: i giornali hanno avuto nelle vendite, negli abbonamenti e nella pubblicità le loro tre fonti di finanziamento. Affidarsi al nuovo modello sarebbe rischioso perché  coi tempi in cui si declina un sol termine  cioè crisi, sarebbe come affidarsi ad un beautycase di trucchi per imbellettare la questione e in secondo luogo un buon giornale deve dare la priorità ai lettori e non agli inserzionisti. A parte la bulimia catodica di certuni per nulla adusi a sporcarsi le mani tra un fondo e l’occhiello, pensare ai giornali interamente online  così come la semplicistica soluzione adottata dall’Hufington Post, sarebbe come parlar di fisica atomica e lasciare cadere il discorso su Star Trek!
Chi ha cominciato? I primi a saltare su internet furono Wired e Time. Correva l’anno 1994 e a seguire tutte le maggiori testate giornalistiche iniziarono il loro lungo viaggio nella rete. Fù allora la nascita dei banner che diedero micce ai ricavi pubblicitari ma non un centesimo fu ricavato dai contenuti. Cioè a dire che i link  (clickstream) che permettono di passare da una pagina all’altra avrebbero dovuto garantire la riscossione di piccoli pagamenti. Il papà dei link, Ted Nelson, nei mitici anni 60 preconizzò che  i link di una pagina avrebbero facilmente restituito il calcolo automatico dei micropagamenti associati ai contenuti online. Ma la trappola era  in agguato : l’informazione gratuita. Invece la pubblicità non lo è! Chi trae vantaggio dai guadagni con la pubblicità online a fronte della pubblicazione gratuita dei contenuti che ha visto la sua alba negli anni novanta? Di sicuro in testa figurano i motori di ricerca, i portali , gli aggregatori di notizie e i provider che fanno pagare ai clienti un canone mensile per accedere ai contenuti e ai servizi web. E se si adottasse il sistema dei micropagamenti stile iTunes? Steve Jobs ha dimostrato che con soli 99 centesimi se ami la musica puoi scaricare il tuo brano preferito. Sulla stessa lunghezza d’onda si avviano i produttori di ebook: a patto della semplificazione dell’operazione, il pubblico è disposto a comprare la versione eletronica di libri e giornali.Dunque si impone più che una riflessione sulla questione. E siamo alla domanda cruciale: quali sono le modalità di pagamento su internet? Si certo abbiamo il famoso Paypal ma resta ancora troppo costosa la transizione per acquisti inferiori ad un dollaro. Twitter usa Twitpay per i micromessaggi, gli appassionati di giochi di ruolo ricorrono alla loro moneta digitale mentre MySpace e Facebook usano il servizio Spare Charge. Bill Keller, direttore esecutivo del giornale della grande mela, ha ammesso che sta pensando di introdurre alcune forme di pagamento, magari con Paypal o forme analoghe. Keller è convinto che si possa tentare ovvero che esistano abbastanza lettori disposti a pagare per un’informazione di qualità. Ha ragione o è l’ennesima illusione del mondo dell’editoria in profonda crisi? Di certo chi è abituato a navigare gratis forse storcerà il naso leggendo di possibili soluzioni a suon di moneta, sia essa pure sotto la forma di micro pagamenti, ma in fondo se si riuscisse a coniugare un prezzo ragionevole conn la semplicità del sistema di pagamento, molto lettori potrebbero accettare la soluzione. I lettori come si  comportano? Nel numero di Message (Nr. 1/2009), insieme a Sebastian Feuss (Università di Lipsia), Peter Schumacher (Università di Trier) ha illustrato gli ultimi risultati dell’ “Eyetracking”.Le misurazioni rilevate, osserva Schumacher, dimostrano come i lettori si comportano in modo completamente diverso da quanto atteso da chi fa il giornale. Come un telespettatore che fa zapping da un canale all’altro, i lettori scorrono velocemente fotografie, grafici, titoli, sottotitoli, didascalie prima di decidere quale articolo leggere. Specialmente i box informativi o di approfondimento sarebbero quelli più facilmente fraintesi – essi si aspettano di trovarvi dei riassunti o degli approfondimenti mentre i giornalisti li riempiono con cifre e materiale informativo complementare correlati al testo principale. Anche brevi annunci e articoli a una colonna spesso suscitano più interesse di quanto si aspettino gli autori dei giornali perché promettono più attualità e richiedono minor impegno. Conveniamo sul fatto che Internet e la su diffusione capillare abbia fatto sì che l’ago della bilancia del potere dell’informazione si spostasse verso le masse? E non solo per la forza della democratizzazione del flusso delle informazioni obbligando sempre di più imprese, agenzie e media in genere a operare in maniera più trasparente? E tutto questo ha un costo? I creativi che trasformano intelligentemente e sapientemente i loro contenuti trasferendoli online dovranno pur essere remunerati? Oppure all’ora X del definitivo collasso, come un vestito rivoltato muteranno aspetto? Se il giornalismo è di qualità, saremo pronti a pagarlo? C’è chi agita lo scettro della fine delle opinioni e invece la rete amplifica le idee geniali! La rete ha frammentato il mondo in elementi piccolissimi e indipendenti : i blog. Se ci interesserà il reportage, saremo disposti a pagarlo. Perché confidiamo nel reporter appassionato imparziale evitandoci il più delle volte lo strazio di vedere tre centesimi di giornalismo avvolti in novantasette centesimi di  pagine ammantate di mondanità, fatte di distrazioni e costi, meno visibili, di gestione.
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